La privacy e il web, come rimuovere sé stessi da Google
Con una recente sentenza, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che i cittadini europei possono far rimuovere dei risultati dal motore di ricerca Google, se questi risultino offensivi e lesivi dell’immagine e dell’onorabilità della persona in questione. Un passo indietro clamoroso dalla filosofia del sapere globale di Google, cui la società californiana è stata costretta, suo malgrado, per ottemperare all’interesse superiore della privacy individuale. Un errore di valutazione, nella crescita del motore, quello di non tenere conto adeguatamente dell’Europa, come ha riconosciuto il CEO Larry Page. La richiesta, per quanto bene motivata, è apparsa di dubbia validità a parecchi esperti della rete.
Si tratta di una richiesta che fotografa una situazione attuale e condanna un solo motore di ricerca, per il fatto stesso di essere monopolista. Ma in futuro le cose potrebbero cambiare, sul web i cambiamenti sono molti rapidi, e anche se Google è una realtà ben consolidata, non è impossibile che nascano concorrenti credibili, con motori di ricerca propri in grado di presentare risultati comunque sgraditi.
Detto questo vediamo un po’ di domande e risposte, per chiarire meglio la questione che ha una rilevanza impattante sul web e le ricerche organiche sul motore di Mountain View. Esattamente in cosa consiste il diritto all’oblio, ovvero a essere dimenticato? Ed è possibile attuarlo in una società interconnessa a più livelli? Si dice che tutto ciò sia fondamentalmente impossibile, perché la rete riesce a tener traccia di tutto e quello che si cancella, può essere rinvenuto altrove, ancor di più da quando i social network hanno aumentato a dismisura la condivisione dei contenuti. In questo caso si chiede a Google di rimuovere tutte le occorrenze riguardanti il proprio nome, che si rinvengono nel proprio datacenter.
Google non cancella le pagine, ma semplicemente non le fa apparire nei risultati, non funge da veicolo della lesione dei diritti alla privacy. Il diritto all’oblio significa che una persona può chiedere che vecchi, inaccurati o irrilevanti dati siano rimossi per sempre dal motore di ricerca.
Come mai la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata sul caso? Tutto nasce da uno spagnolo di nome Mario Costeja Gonzalez, che attraversò un brutto periodo finanziario e fu costretto a vendere una proprietà per far fronte ai debiti. Questo fatto, come tipico delle aste giudiziarie, finì su un giornale locale, con edizione online, indicizzata da Google. Gonzalez non era affatto contento del fatto che i suoi problemi economici di 16 anni prima, oramai superati, apparissero ogni qualvolta che egli o qualcun altro digitasse il suo nome sul motore di ricerca.
Da qui la richiesta di far rimuovere un risultato che ledeva la sua reputazione. La corte di Giustizia Europea, con sede in Lussemburgo, ha dato ragione al cittadino spagnolo, disponendo che benché il giornale operasse per l’interesse pubblico, Google stava al contrario infrangendo il diritto alla privacy, rendendo disponibile una notizia per un tempo continuato. La decisione è comprensibile: in procedimenti giudiziari come quello del sig. Gonzalez, la pubblicazione sul giornale è spesso inserita come pena accessoria, da qui il giudizio negativo nei confronti di Mountain View.
In definitiva dopo qualche mese di applicazione, il diritto all’oblio è stato accolto per quasi la metà dei casi, ma ricordiamo sempre che eliminare da Google non significa eliminare dal web. Nulla garantisce che le pagine lesive della reputazione vengano condivise altrove, per esempio su siti ad alto traffico come Facebook. Per la natura di Google, poi, va detto che il diritto all’oblio opera solo sul data center del motore di ricerca e quindi su quella porzione di web scaricata e conservata da Google per permettere le ricerche indicizzate.